«Zugna e Lavini, un parco grandioso» 

Non solo golf. L’assessore Tomazzoni: «Un paesaggio complesso che va tutelato ma anche trasformato in ricchezza»


di Luca Marsilli


ROVERETO. In consiglio comunale ha tentato, nel suo intervento iniziale, di aprire il discorso alla sua portata effettiva: un enorme progetto di ripristino e valorizzazione di un’area che va dalla sommità dello Zugna, col suo osservatorio astronomico e i suoi segni della Grande Guerra, fino alla discarica. Passando per orme dei dinosauri, unicità geologiche della frana più grande d’Europa, biotopo, flora del Cengio Alto e segni che 1000 anni di interventi dell’uomo hanno inciso nel paesaggio, costruendolo. Ma poi il dibattito si è appiattito sul dettaglio del campo da golf. Annichilendosi in una scontata divisione tra guelfi e ghibellini, tra l’altro col serio dubbio che sia l’uno che l’altro sapessero cosa sia un papa e cosa un imperatore.

Assessore Maurizio Tomazzoni, proviamo a ripartire dall’inizio? O a senso parlare solo di golf perché è il primo intervento previsto?

Non è vero nemmeno che sia il primo intervento previsto. Come di certo non è il più significativo. Ridurre quello che stiamo proponendo alla realizzazione di un campo da golf è una semplificazione; farlo senza sapere di cosa si parla diventa vuoto parlare. E purtroppo questa è la piega che ha preso il dibattito. Non è la prima volta.

Quindi partiamo dall’inizio.

L’inizio sono i Lavini o, se vogliamo, la viariante al Prg che introduce il concetto contemporaneo di paesaggio come elemento della pianificazione. Individuando come “ambito” proprio quello dei Lavini. Un’area di una complessità enorme e quindi con altrettanto enormi potenzialità. Il primo a descriverla è stato Dante e la prende ad esempio di pauroso, orribile. Come lui l’hanno percepita per 1000 anni gli abitanti di Marco e Lizzana. Ma in questi 1000 anni di lavoro dell’uomo, è cambiata. Tra l’altro con 100 anni fa un altro evento rivoluzionario dal punto di vista del paesaggio e della percezione di un luogo: la guerra mondiale. Che ha spianato colline, scavato fossi, forato montagne. Oggi se diciamo Zugna pensiamo alla guerra, se diciamo Lavini pensiamo alle orme dei dinosauri, se diciamo Ruina pensiamo a Dante. C’è tutto questo da recuperare, tutelare e valorizzare. Perché riteniamo che tramandare il paesaggio sia un dovere verso il futuro ma farne un vettore anche economico sia giusto e necessario per il nostro presente.

Per cui, il golf.

Non solo il golf, ma anche il golf, sia pure in parte modesta perché di quest’area occupa una porzione assolutamente marginale. Ma chiariamoci: dal punto di vista ambientale e da quello paesaggistico il golf porterà soltanto miglioramenti all’area. Se poi è anche in grado di portare investitori e struttura che potranno essere a servizio anche di tutto il resto, ben venga il golf. Perché secondo me dobbiamo uscire da una convinzione radicata ma sbagliatissima: che conservare e tutelare un bene significhi nasconderlo e metterlo sotto chiave. Non funziona. Perché finisce che non solo si spreca una opportunità di ricchezza, ma si perde anche il bene che lasciato a sé stesso, viene perduto.

Sull’impatto ambientale e paesaggistico del golf ci torniamo, ma chiudiamo questo discorso che forse va chiarito meglio. Perché da sempre la logica del divieto, del “sotto vetro” è stata vista come la migliore per tutelare un bene delicato.

Facciamo un esempio: le orme dei dinosauri. Scoperte per caso in epoca relativamente recente, sono comunque figlie della frana. Sono lì. Se non facciamo nulla, non resisteranno più di qualche decennio. Intemperie ed erosione, assieme all’azione dei pochi turisti che le raggiungono, le cancelleranno in fretta. Ci sono solo due modi per tutelarle: o le si ricopre di maceria, come erano 30 anni fa, o le si mette in sicurezza con interventi che certamente impattano sul paesaggio, ma che le rendono fruibili anche turisticamente. Sono una ricchezza unica al mondo e ad oggi noi non ci ricaviamo un euro. È deplorevole pensare di salvarle facendone anche una ricchezza? Per noi no.

Torniamo sul golf: le contrarietà più marcate si sono puntate proprio sul punto di vista dell’impatto ambientale. Lo spreco di acqua, i veleni a ridosso di un biotopo, le modifiche al territorio.

Sono critiche molto superficiali che vengono da chi di golf sa poco e di Lavini pure. I golfisti sono utenti particolari che fanno proprio della ecologicità del loro sport una bandiera irrinunciabile. Oggi i campi da golf sono gestiti con disciplinari rigorosissimi. Niente diserbanti, niente anticrittogamici: chi passa la sua giornata sul campo, non li tollera. Per paradosso, il campo da golf è infinitamente meno inquinante di un appezzamento di campagna o di un orto. A qualcuno non sono simpatici? Può essere, ma allora parliamo di questo, non di ecosostenibilità. Quanto al territorio, sarà riportato alla sua originaria asprezza valorizzando la Ruina, oggi nascosta da una artificiale e malata selva di pino nero. Paesaggisticamente è un miglioramento.

Chiudendo, se non sarà solo golf, cosa ci sarà?

Percorsi, sia pedonali che ciclabili, che valorizzino i diversi aspetti delle diverse aree: la geologia, la storia, i dinosauri, la flora del Cengio Alto, la Ruina Dantesca restituita almeno in parte alla sua immagine millenaria. Tutti beni da mettere in sicurezza per tutelarne la sopravvivenza, ma anche da rendere raggiungibili e fruibili con strutture in grado di portare turismo e farne fonte di ricchezza e occupazione: è lo scopo del fondo unico di sviluppo territoriale che finanzierà i primi interventi.

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