«Marco, il campo somiglia ad un ghetto» 

Duro il Pd roveretano anche con la Provincia: «Va migliorata la qualità della vita delle persone che sono ospitate»



ROVERETO. In città lo si è sentito dire per settimane, ma per la verità nemmeno gli interventi dell’assessore provinciale Zeni dopo la protesta dei profughi di Marco erano di tenore molto diverso, almeno nei contenuti: sono stati salvati, accolti, sfamati e mantenuti, che si lamentino pure è troppo. Un atteggiamento mentale sul quale le forze politiche ostentatamente diffidenti verso gli stranieri hanno ovviamente ricamato il comprensibile ed anche di più.

Ora il Pd roveretano dice una cosa di sinistra (Moretti perdonerà...): il fatto che una persona a casa propria rischiava di morire, non significa che debba ringraziare per essere trattata molto peggio di come al parco canile si trattano i cani abbandonati. O per essere ancora più chiari: una società civile non può ritenere assolto il suo dovere morale di soccorso e accoglienza per il solo fatto di avere trovato una soluzione biologicamente compatibile con la sopravvivenza. Perché ogni persona ha diritto anche a vivere in modo decente e dignitoso. A Marco non si può dire che queste condizioni siano rispettate. Ci sono 14 container, elenca il Pd roveretano, nei quali vivono 237 persone. In ogni container ci stanno solo i letti a castello necessari per ricoverarli tutti: nessun armadio, nessuno spazio personale. I container sono mal riscaldati: di notte è freddo. E d’estate diventano dei forni. I servizi non sono sufficienti per quel numero di persone: un blocco docce a Nord del “villaggio di container” non è ancora stato coperto: per andarci si va all’aperto. L’altro si trova a sud ed è integrato nel tendone che copre tutto. Ma l’acqua calda basta per circa 10 docce. Finita quella o si fa la doccia fredda o bisogna aspettare, all’aperto, non si sa quanto. Gli ospiti della struttura lavano le proprie cose a mano in secchi di fortuna, con l’acqua fredda, e per farle asciugare non possono che stenderle sulle recinzioni del campo. Per gran parte del 2017 le due sale comuni adibite al soggiorno dei profughi non sono state disponibili, perché destinate a dormitorio per i nuovi arrivati.

Una situazione difficile ma accettabile se si parla di emergenza e di permanenze di poche settimane, assolutamente insopportabile se deve diventare, come purtroppo è, più o meno definitiva: ci sono profughi lì da quasi due anni. Non è nato per questo il “campo di prima accoglienza”, ma non si può fare finta di credere che si tratti ancora di quello: in realtà oggi a Marco c’è una delle strutture di accoglienza permanente della provincia di Trento. E bisogna prenderne atto, per introdurre almeno le migliorie possibili a rendere la permanenza meno dura. Incrementando i servizi - suggerisce il Pd - ma anche pensando a destinare nuovamente ai profughi anche le casette della protezione civile dove erano ospitati prima dei container: in questo modo si possono ridurre i numeri di ospiti per ogni struttura, evitando almeno il sovraffollamento.

Tutto questo sapendo che comunque non è questo il modo in cui si può considerare risolto il problema. I profughi devono trovare soluzioni diverse da quello che oggi è troppo simile ad un ghetto. Bisognerà intervenire sui comuni che non aderiscono al progetto di accoglienza favorendo uno sforzo di conoscenza che superi i pregiudizi. Ma in attesa di quella che sarà la vera integrazione, inevitabilmente legata ad una distribuzione capillare sul territorio, si può anche tentare una soluzione simile a quella trovata a Trento: destinare all’accoglienza dei profughi un edificio oggi non utilizzato, magari del decanato o dello stesso Comune. Sarebbe comunque molto meglio della situazione attuale, accettabile solo per chi non sa o fa finta di non sapere come si viva nel campo di Marco.

Questa è la posizione del Pd roveretano, il cui direttivo nei prossimi giorni visiterà il campo di Marco per incontrare gli ospiti e gli operatori. (l.m)

©RIPRODUZIONE RISERVATA.













Scuola & Ricerca

In primo piano