«In 14 in un container: questa non è vita» 

Tisi e i profughi: «Quello che abbiamo visto si commenta da solo. Non si può continuare a vivere in queste condizioni»


di Giancarlo Rudari


ROVERETO. «Ho visto una situazione molto difficile che ci interpella e ci chiede di cercare soluzioni. Così non va: non si può stare in quattordici in un container perché questa non è vita». Le parole sono quelle dell’arcivescovo di Trento Lauro Tisi che ieri ha visitato il campo profughi di Marco. E la situazione che ha trovato, come d’altrocanto era stato più volte riportato anche dal Trentino (questa settimana con editoriali e reportage), è drammatica soprattutto per quanto riguarda la sistemazione nei container che i 237 profughi ammassati in pochi metri quadrati. «Vivono in gabbia»: così aveva descritto la situazione padre Alex Zanotelli dopo la sua visita ad una settimana dalla protesta dei profughi di inizio gennaio. «Da allora - aveva aggiunto - non è cambiato nulla». «Stipati come sardine... è la bidonville del Trentino. Disumana. Un angolo di Terzo Mondo nella terra dell’autonomia, uno dei territori più ricchi d’Italia. Una vergogna dell’autonomia»: questo è un passaggio della lettera aperta di Vincenzo Passerini che ha “stimolato” don Tisi a fare visita al campo profughi di Marco accompagnato ieri mattina da Roberto Calzà e Cristian Gatti, direttori di Caritas e Fondazione Comunità Solidale. Poi è arrivato l’ assessore provinciale Luca Zeni con il dirigente del Dipartimento salute Silvio Fedrigotti, il direttore del Cinformi Pierluigi La Spada e i responsabili della Croce rossa.

L’arcivescovo ha passato in rassegna gli spazi comuni (un’aula scolastica, la mensa, un locale ricreativo) per poi soffermarsi a lungo all’interno di uno dei container che ospitano ciascuno 14 richiedenti asilo: dormono in letti a castello in spazi davvero angusti, stendono i loro panni per avere un minimo di privacy e chi è ammalato rischia di trasmettere febbre e influenza anche agli altri. «E’ una situazione che parla da sola. Così non va e non è necessaria nessuna altra parola» ha affermato sconsolato don Tisi. E, ad una domanda diretta di uno degli ospiti («Questa è vita?»), l’arcivescovo non ha esitato a rispondere «No, questa no, non è vita». Una situazione, ha affermato poi al termine della visita, «molto difficile che ci interpella e ci chiede di cercare soluzioni. Per il momento vediamo di mettere subito a disposizione almeno 22 posti n località San Nicolò, in appartamenti dove erano ospitate famiglie siriane. Altri nove posti saranno presto disponibili in due diverse località. Ma l’appello è alle comunità perché dobbiamo proprio aprire gli occhi sulla complessità della situazione e vedere se non abbiamo anche noi qualche possibilità di rispondere».

Ma i profughi, alcuni dei quali dì da oltre un anno e mezzo, chiedono sì condizioni di vita migliori ma senza dover allontanarsi troppo da Rovereto visto che molti di loro hanno iniziato un percorso di integrazione che passa anche attraverso la frequenza di lezioni all’istituto don Milani e alle scuole Veronesi. «Ho parlato con i ragazzi ospitati al campo e mi porto dentro le loro problematiche esistenziali che vanno ben oltre il disagio di un container. Anche nel ripensare ad una ricollocazione bisogna tener conto dei percorsi di integrazione e formativi che in molti casi sono già stati avviati sul posto» ha affermato l’arcivescovo. Che poi ha evidenziato un altro aspetto, quello dell’accoglienza da parte della comunità cristiana: «Da parte dei preti c’è la massima apertura su questo terreno e ne hanno dato prova mettendo a disposizione una ventina di canoniche: senza di loro non avremmo potuto fare questo. Non sono qui come don Lauro, ma sono qui con i preti. Ma dobbiamo lavorare però ancora sulle nostre comunità - ha proseguito don Lauro Tisi - per accrescere la disponibilità all’accoglienza, peraltro già riscontrata, e vincere eventuali paure che si sfaldano solo con l’incontro. Il mio intento è far di tutto per invitare le comunità ad aprirsi ancora di più».

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