Trento ha il diamante università, ma non lo cura



La nuova biblioteca universitaria è già piccola. In questi giorni è presa d’assalto, al punto che sabato vi è stata, da parte degli studenti, la rabbiosa occupazione della ex sala di lettura Cavazzani, poi riaperta dal rettore. Ma il problema della Biblioteca universitaria centrale (Buc) ci apre gli occhi, come un raggio di luce improvvisa, sul difficile rapporto della città di Trento con la sua Università. Un rapporto mai costruito davvero: la città, infatti, ha sempre cercato soltanto di succhiare il sangue dell’Università. Eppure l’Università è, per Trento, la sua industria.

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L’affollamento della biblioteca ha preso di sorpresa tutti. È stato necessario aprire di sabato la vecchia sala di lettura per riuscire a tamponare la situazione. Eppure c’erano molti elementi per comprendere che il rischio di un sovraffollamento era elevato.

La folla dipende principalmente da tre fattori.

- Il primo è che la biblioteca ri-disegnata (nel disegno originario doveva essere un auditorium) da Renzo Piano ha una capienza dimezzata rispetto al progetto che aveva messo in cantiere Mario Botta su piazzale Sanseverino. Si è scesi da 800 a 430 posti. Sulle responsabilità di questa scelta certamente non torniamo. Non è stata colpa dell’Università, né della Provincia: il vero responsabile è stato il Comune di Trento, perché sia la maggioranza che l’opposizione in consiglio comunale (ed ecco che si capisce già qui il difficile rapporto fra città e università), si sono palleggiati per anni il sì e il no alla biblioteca nel piazzale per discutere di un pugno di parcheggi: inettitudine comunale. Poi, per fortuna, è arrivata questa soluzione.

- Il secondo è che queste sono le settimane in cui le biblioteche di università si affollano perché siamo in piena sessione d’esame ed è in questo momento che gli studenti usano gli spazi di lettura: fra una decina di giorni riprenderanno le lezioni e gli studenti saranno impegnati su più fronti. Però è chiaro che se la biblioteca non è accogliente nel momento in cui serve di più, sotto esame, quando si concentra il periodo di studio, allora non ci siamo. Non serve a nessuno che a ferragosto la biblioteca sia capiente, giusto?

- Il terzo fattore - su cui la politica e l’amministrazione cittadina e provinciale non hanno riflettuto - è che la biblioteca centrale in questi anni, non solo a Trento ma in tutte le città universitarie, è divenuta una gigantesca sala di lettura e insieme uno dei più importanti luoghi di aggregazioni per i giovani. Stiamo parlando del luogo di aggregazione centrale di una popolazione studentesca che arriva a 16 mila iscritti, di cui i fuori sede sono ormai più della metà. Vi è cioè una popolazione studentesca che si ferma nel weekend a Trento e che, alloggiata magari in periferia, tende ovviamente a portarsi in centro città, dove ci sono servizi, dove ci sono altri colleghi.

Come vedete si tratta di tre fattori su cui Trento non ha riflettuto. Ascoltando alcuni studenti e anche alcuni prof, poi, è facile raccogliere lamentele crescenti rispetto al servizio di mensa universitaria. E pensare che fino ad alcuni anni fa, quando all’Opera universitaria c’era il professore Fulvio Zuelli, la mensa era, di nome e di fatto, “ristorante universitario”. In quegli stessi anni chi andava nelle città universitarie in Germania raccontava con terrore l’esperienza delle mense tedesche, mentre ora la situazione pare ormai si sia rovesciata, con le mense tedesche che battono quelle trentine.

Non è solo da questi elementi che si può trarre il rapporto deficitario fra Trento e la sua università. Ma di sicuro si coglie che per la città è come se si trattasse di un corpo estraneo, che mai si integra. Perché se è vero che l’Università è ormai la prima vera industria della città (16 mila studenti, ma con i prof e tutto il personale supera certamente le ventimila persone), è ovvio che è necessario “pensare l’Università nella città”. Occorre in primo luogo offrire i servizi elementari ed essenziali (sale di lettura e mense lo sono). E bisogna che siano molto buoni. Perché è qui che si forma il tesoro di Trento. Nella qualità della vita di chi è parte pulsante del diamante di Trento.

Sì, l’università è un diamante: e lo sanno bene tanti trentini e anche tanti proprietari immobiliari. Certo che lo sanno. Trento quanto a case per gli studenti ha sempre trovato spazi, stanze, alloggi. E li ha spennati. Ma quando si tratta di offrire il meglio ecco che non sorge alcun pensiero efficace né alcun ragionamento di prospettiva. E l’università, ricordiamocelo, è ormai anche il volano dell’immagine di Trento: arrivano tantissimi studenti, visiting professor, convegnisti e poi c’è un Festival dell’Economia che è nato solo perché c’è la facoltà di Economia. Trento deve capire finalmente che l’università è il suo diamante. E serve una visione della città: cresciuta in fretta con l’università, ma mai consapevole del suo reale futuro. Serve una visione. L’ultima visione l’ha avuta Goio, con l’abbellimento del centro storico e la nascita di un polo culturale all’ex Santa Chiara. Poi avrebbe voluto averla Pacher con il magnifico boulevard di Busquets. Ma ci siamo fermati ai sogni irrealizzabili.













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