La morte di Riina

Non dimentichiamo chi sono i veri eroi


di Alberto Faustini


Pietro Scaglione mise sotto accusa Salvo Lima, Vito Ciancimino e vari altri politici. Per lui, che era procuratore della Repubblica a Palermo, la «mafia aveva origini politiche» e «i mafiosi di rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni». Lo uccise nel 1971. Poco prima aveva già ucciso Michele Navarra, medico e boss di Corleone e il boss Michele Cavataio, insieme ad altre quattro persone. Fra il 1979 e il 1980, assassina l’ex segretario provinciale della Dc, Michele Reina, e il presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, che muore praticamente fra le braccia del fratello Sergio, oggi presidente della Repubblica.

 Di lì a poco, il 30 aprile 1982, a cadere è Pio La Torre, sindacalista, leader del Pci, deputato. Poco prima, il 21 luglio 1979, c’era stato l’assassinio di Boris Giuliano, capo della mobile di Palermo. Poi tocca al colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, al capitano Emanuele Basile, al dirigente di Polizia Beppe Montana. Nell’81 a morire sono i mafiosi Stefano Bontande e Totuccio Inzerillo (al quale vengono uccisi anche figlio e fratello). Nel 1982 lo Stato - al quale la mafia ha dichiarato guerra - reagisce e manda a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, senza mai affidargli i poteri speciali che chiedeva. Quaranta giorni dopo il suo arrivo a Palermo, il 13 settembre, lui - lasciato di fatto solo dallo Stato - e la moglie, Emanuela Setti Carraro, vengono trucidati nella loro utilitaria. Nel 1985 la mafia si prende anche il commissario Ninni Cassarà.

Nel 1986, inizia il maxiprocesso: un’intuizione che porta soprattutto la firma di Giovanni Falcone, magistrato che cambia per sempre il modo di indagare. Il 12 marzo 1992 a morire è Salvo Lima, proconsole andreottiano in Sicilia. Il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 l’Italia è in ginocchio: vengono assassinati prima Giovanni Falcone, a Capaci, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta (Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani) e poi, in via D’Amelio, il giudice Paolo Borsellino, insieme ai cinque agenti che lo scortavano: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. La notte del 26 maggio del 1993 c’è la strage di via dei Georgofili, dove muoiono cinque persone. Pensiamo a tutti loro: sono oltre 100, stando alle inchieste, le persone che ha assassinato o fatto assassinare. E ricordiamo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, sciolto nell’acido quando aveva 15 anni e i tanti altri che non hanno un volto e un nome definito.

L’assassino, Totò Riina, invece, dimentichiamolo proprio. La memoria ha bisogno di eroi positivi, di belle facce, di giovani e adulti seri che non hanno potuto invecchiare accanto ai loro cari, non di film o di inchiostro sprecato per un boss di 87 anni che ha riempito di sangue e terrore il nostro Paese.













Scuola & Ricerca

In primo piano