La morte, nell'Isarco, dell'uomo invisibile



Conviviamo - talvolta faticosamente - con gli invisibili. Con una macabra singolarità: ci accorgiamo di loro quando muoiono. Quando ad esempio le acque dell’Isarco restituiscono alla comunità il cadavere di un uomo “inesistente”. 

Ci fermiamo tutti su ponte Palermo. Osserviamo le operazioni di recupero. Cerchiamo di capire ciò che fino al giorno prima ignoravamo o fingevamo di ignorare: l’esistenza di un mondo parallelo. La vita - e la morte - di un uomo di cui nessuno ha denunciato la scomparsa; di un uomo che nessuno penserà di ricordare in un cimitero o in una chiesa. Di un uomo che semplicemente non c’era. Anche se era da almeno dieci giorni nella “nostra” acqua e da un tempo indefinito nella nostra terra. Era lì. Dove noi passeggiamo. Dove noi corriamo. Dove i nostri bambini giocano. Dovrebbe avere fra i 25 e i 30: l’età di molti dei nostri figli, dei nostri fratelli, dei nostri colleghi. Dovrebbe essere nordafricano. L’autopsia ci darà altri elementi. Ma l’elemento fondamentale - anche se i rilievi potrebbero far emergere altri particolari inquietanti - è impossibile da non vedere: quell’uomo non esisteva. Non ha un nome. Non ha un volto. Non perché i suoi lineamenti siano stati stravolti dall’acqua. Un volto, essendo appunto invisibile, non lo aveva infatti nemmeno prima. Non ha una storia. Perché ben difficilmente riusciremo a capire quale dramma o quale disgrazia l’abbia portato così lontano dalla sua terra, in un viaggio della speranza, certamente lungo, che è finito troppo in fretta. Non ha una famiglia. Potrebbe averla ovviamente, ma se fosse clandestina come lui, certo non si affaccerebbe al mondo reale per farsi scoprire. Chissà se aveva ancora dei genitori. Chissà se sapranno mai della sua morte. Chissà quando (e come) avranno avuto le ultime notizie sul suo tentativo - limpido o oscuro, regolare o, com’è più probabile, irregolare, ma ben difficilmente per una sua scelta - di costruirsi uno spazio nell’esistenza. 

Lo dimenticheremo in fretta, l’uomo senza nome e senza volto, senza storia e senza vita. Ci ha distratto in una giornata di sole, perché suo malgrado è piombato nella nostra normalità: come un biglietto attaccato a un palloncino volato via dalle mani di un bambino. Ma dato che non era uno di noi, torneremo a correre, a giocare e a vivere come prima. Forse invece dovremmo proprio fermarci a pensare. Forse gli occhi su questo mondo parallelo dovremmo finalmente aprirli. Cercando soluzioni.













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