In Trentino serve del buon filo (politico) per suturare le ferite



Negli occhi stanchi, Maurizio Fugatti non ha le immagini felici del primo giorno di “scuola”, ma quelli delle piogge. Delle tragedie che in questi giorni d’un nero autunno hanno spezzato vite e montagne, con quegli alberi volati in cielo come fiammiferi spostati dal vento e poi ricaduti a terra con un tonfo sordo. Migliaia di metri cubi. Legna difficile da spostare. Da recuperare.

Nella mattinata di sabato 3 novembre  c’è stata la proclamazione ufficiale: per il nuovo presidente  della Provincia autonoma di Trento e per gli altri 34 consiglieri. Ma Fugatti s’è in un certo senso ritrovato a fare il presidente ancor prima di esserlo. Tenuto per mano dal suo predecessore, ha messo gli occhi dentro il Trentino della devastazione e in quello della ricostruzione. E la sua agenda non può che ripartire da qui. Dai paesi da ricostruire, da una montagna che ha ormai due facce: quella del turismo, del benessere, degli investimenti e del clamore e quella dell’isolamento, delle giornate faticose, dello spopolamento e del silenzio.

In questo cadere del bosco - per usare una bella immagine dello scrittore Paolo Cognetti - si sente una specie di stanchezza, proprio come un amico che non ce la fa più. E viene paura per come andrà a finire: se si arrendono gli alberi, che ne sarà di noi?

Per quanto grande e senza una precisa risposta, è questa la prima domanda che il nuovo presidente della Provincia dovrà porsi entrando in ufficio, prima ancora di celebrare un 4 novembre che gli ha imposto comunque subito di dire da che parte starà nei prossimi cinque anni: il nazionalismo e l’idea di un’Europa “nemica” come si conciliano con la terra della convivenza, dell’autonomia, delle differenze che si fanno risorse?

Più che due domande, due macigni per Fugatti. Il territorio ha retto. Ma è debole e non può non fare i conti con un clima che sta cambiando per sempre, chiedendo coraggio e fantasia a chi ne disegnerà il futuro, non solo dal punto di vista economico-turistico. E la comunità è divisa: fra chi festeggia l’inizio di un’era e chi piange la fine d’una stagione. Serve del buon filo per suturare le tante ferite.













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