Cento chilometri per nascere in montagna. Ecco perché



Per dare un personale contributo al dibattito sui punti nascita ho chiamato mio padre, per farmi spiegare (finalmente!) come andò che quel 9 giugno di 44 anni fa venni al mondo in un ospedale di montagna.

Sulla mia carta d'identità è scritto a chiare lettere: nato a Agordo (Belluno). Idem su quella di mio fratello. Così tutti pensano che siamo nati in montagna e solo successivamente la nostra famiglia si sia trasferita in città, in quei lontani anni Settanta. E invece non è vero: abitavamo già a Trento e siamo nati in montagna per questioni che non hanno nulla a che vedere con la buona o la cattiva sanità.

Il fatto è che in quella notte fra l'8 e il 9 giugno del 1971 mia madre dichiarò che era giunta l'ora e volle quindi essere portata all'ospedale Santa Chiara. Peccato che mio padre, riflettendo sul fatto che lungo il percorso c'era un ospedale ogni 30 chilometri, giunto in piazza Venezia girò verso la Valsugana, diretto verso le Dolomiti a bordo di una Prinz. Alle porte di Borgo disse che tanto valeva andare a Feltre, quindi puntò verso Belluno e infine fu evidente il piano (premeditato e più o meno condiviso) di giungere ad Agordo, dove finalmente nacqui, come già era accaduto per tutti i membri della famiglia S. E come accadde quattro anni dopo per mio fratello N., che non poteva essere da meno. In quel caso ricordo che andammo in montagna con qualche giorno d'anticipo, dove trascorsi ore di grande smarrimento, orfano all'improvviso di ogni attenzione, come ogni primogenito quando arriva il grande rivale a sconvolgergli la vita.

Ora che si discute se sia giusto (o meno) far nascere in città i bambini di montagna, volevo andare a fondo su quale fosse il senso di far nascere in montagna due bambini di città. Così ho chiamato al telefono mio padre (era infatti ad Agordo) per chiedergli finalmente conto di questa storia: «Non è che ci abbiamo pensato su tanto, ma semplicemente non era possibile farti nascere a Trento - mi ha detto - perché l'avrebbero scritto sulla carta d'identità e tu non eri mica trentino».

Non fa una piega, siamo nati in montagna - con un viaggio a ritroso degno di una famiglia di salmoni - per evitare un "falso". Chissà quanto deve essere costato, al nonno, accettare che i due nipoti, che portano il suo cognome, siano nati entrambi in città, all'ospedale Santa Chiara. Mi pare in realtà di ricordare (ma non potrei giurarci) che all'epoca provò timidamente a evidenziare che si poteva seguire la tradizione. Ma non venne ascoltato e se ne fece (volentieri) una ragione.

Che c'entra questa storia? C'entra perché racconta di come le nascite mettano in gioco emozioni estranee alle questioni sanitarie. Grazie papà di avermi fatto nascere lassù (è stato un bel regalo!) ma quarant'anni dopo, in un mondo più grande e veloce di quello di allora, possiamo finalmente discutere di nascite con argomenti che vanno oltre l'orgoglio e l'amore per la propria terra.













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