Andiamo tutti a Genova, per aiutarla a rinascere



Una tragedia che non si può accettare. Una ferita che non si rimarginerà. Un dolore che riguarda tutto il Paese. Un’umanità uccisa da un’umanità disattenta. Mille allarmi inascoltati. Un moderno ponte levatoio - senza il quale Genova è isolata, come se fosse un castello d’un tempo che non c’è più - che si sbriciola insieme al buonsenso. Insieme alla sicurezza.Insieme all’idea di un Paese che non sembra in grado di reagire, ma solo di gridare o di subire. Il simbolo del boom economico che diventa incubo. Un pezzo di città che non ha più una casa, un letto, un presente. Una vita.E ancora, usando le parole di Bagnasco, uno squarcio nel cuore di Genova. Ma anche l’ennesima tragedia annunciata. Un brutto film già visto.

La foto di un’Italia visionaria che ha tanto costruito e di un’Italia distratta e spesso superficiale che non sa ascoltare il grido di chi vede e prevede disastri, incapace di rammendare, di curare, di controllare, di presidiare. Binari paralleli. Che non si sfiorano. Peggio: che si ignorano. 

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - applaudito sabato da una città così affranta da dividersi purtroppo anche su un unico funerale di Stato - ha chiesto un accertamento rigoroso e sollecito delle responsabilità. Domanda giusta. Ma la storia purtroppo insegna che la risposta avrà tempi che renderanno ingiusta la giustizia.

Ai funerali di Stato il cardinale ha ricordato il nome di ogni vittima. E per un istante il rancore e il desiderio di sparare subito all’assassino - che va individuato in fretta, ma non processato e condannato in piazza al di là e al di fuori delle regole - hanno lasciato spazio al dolore. Allo strazio. Ai volti di persone che rischiamo di dimenticare, come tutti coloro che sono morti in circostanze simili.

Fino a sabato incapace di piangere davvero sui corpi delle vittime, l’Italia ha purtroppo fatto di Genova un Far West. Si sparano parole a vista. Si fanno processi sommari ai gestori dell’autostrada, ai governi del passato, a fantasmi indefiniti. Serve giustizia giusta. Ma prima servono lacrime vere: per chi non c’è più. Per chi ha perso tutto tranne la vita. Per una città in ginocchio. 

E serve fiducia: nelle istituzioni (a cominciare da chi ha il compito di fare giustizia) e in una Genova che per ripartire e per rialzarsi ha prima di tutto bisogno di noi, della nostra solidarietà, della nostra vicinanza, del nostro aiuto, ma anche della nostra presenza: d’istinto - a pochi giorni da una tragedia - viene normale rinunciare alla vacanza programmata da quelle parti, disdire la visita all’acquario, rinviare la gita che avevamo in animo di fare per scoprire le tante bellezze di quei luoghi adagiati a pochi passi dal mare. 

Ma Genova ha bisogno di normalità, di turismo, di presenze, di ritorno alla vita, di speranza, di presente. E ognuno di noi può fare molto per farla ripartire. 

 













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