IL RICORDO

Addio a Manfrini e al suo sorriso

La tenacia dell’ottimismo e lo sguardo aperto, senza tentazioni di “trentinismo”: i regali che Paolo ci lascia in dote


Paolo Mantovan


Paolo Manfrini ha lottato con ottimismo e in tutti noi ha lasciato impressa l’immagine del suo sorriso. Due cose che ci regala e che valgono molto più di ciò che ha realizzato. L’ottimismo era la forza della sua volontà, che lo ha sempre accompagnato. E il sorriso era il dipinto del suo animo: accogliente e ironico nello stesso tempo, ti abbracciava e insieme ti teneva sulle spine. Perché Paolo era sognatore e disincantato insieme. Aveva forte il senso della realtà eppure non smetteva di guardare oltre. Nel giornalismo è una dote straordinaria. Nella vita lo è ancor di più. 

Paolo Manfrini si è proposto sempre con il sorriso e insieme combattendo. Senza pestare i piedi a nessuno. Sia perché ha sempre creduto nella necessità degli equilibri e nel rispetto dei ruoli, sia perché mai ha voluto rinunciare alla forza persuasiva della gentilezza. Senza grandi proclami, cercando la via docile della condivisione di idee, puntando sempre al massimo possibile. Perché sognare non solo è possibile ma ti aiuta a realizzare davvero delle grandi cose: questo era il suo messaggio quotidiano. Quindi, al di là delle intuizioni di Oriente Occidente o dei Suoni delle Dolomiti, cose che il mondo conosce e ci riconosce, al di là dei fili tessuti nel corso di una stagione della vita per innovare la politica o per portare la cultura nel turismo, Paolo Manfrini è stato un esempio di come si costruiscono realtà dai sogni, di come si deve insistere e non ci si deve arrendere, di come occorre avere pazienza e non abbassare la mira. Di come bisogna ascoltare tutti (per poter parlare a tutti) e di come è necessario abbeverarsi alle fonti del pensiero e dell’immaginazione. 

In questo, Manfrini ci ha regalato soprattutto il suo sguardo aperto, lontanissimo da quel provincialismo che spesso governa non solo molte nostre istituzioni ma intacca anche il carattere di tanti trentini.

Ecco, Manfrini non è stato per nulla affetto da “trentinismo acuto” (tantomeno dal “roveretanismo”) e, guarda un po’, proprio per questo è riuscito a imporre delle idee che hanno dato (e danno tuttora) lustro a questo territorio. Eppure Paolo ha amato Rovereto e il Trentino con tutto il cuore che aveva. Ma ha voluto amarli soprattutto con la testa. Convinto che è nella forza di rinnovarsi che si può scommettere di nuovo su se stessi: senza nostalgie inutili e senza timori del futuro. Certo, Manfrini frequentava il mondo della cultura come pochi. E da lì ha tratto una serie infinita di spunti. Ma quella sua frequentazione non la chiudeva in un isolotto cultural-chic, lui cercava sempre di trasformarla in ricchezza per tutti. E così, con questo spirito, ha coltivato le sue amicizie. Cercava bellezza e condivisione. Con questo respiro ha vissuto pure la sua famiglia, rendendo naturale per le figlie Francesca e Ariele esprimersi nelle diverse forme dell’arte. Con queste idee ha affrontato un lavoro che ha tentato di rendere sempre lieve, aperto e prudente insieme: capace di osare ma sempre coinvolgendo. 

Questa sua eredità è necessario saper raccogliere. 

Sì, ci sono anche le vocazioni e i talenti. Paolo aveva la vocazione allo sguardo aperto e il talento di tradurre concretamente i sogni. Ma quell’ottimismo e quel sorriso restano impressi nella nostra memoria. E così l'abbiamo salutato per l'ultima volta, nella chiesa di Santa Caterina, guardando avanti, come voleva lui.













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